venerdì 21 gennaio 2011

La frontiera

Ciao a tutti... Alcuni giorni fa mi è successa una cosa che mi ha colpito... stavo accompagnando mio padre a fare una visita in un ospedale, me ne stavo in piedi nella sala d'attesa appunto in attesa che venisse il nostro turno, gironzolavo su e giù per il grosso atrio con tutte le sedie disposte ai lati, quando ho sentito una persona che diceva "vuole sedersi qui al mio posto?", rimbombava la voce fra le mura spoglie e mi sono guardato intorno, ero l'unico in piedi e mi sono reso conto che quell'offerta non poteva che essere rivolta a nessun altro fuori che a me... una signora non più giovanissima, ma sicuramente più giovane di me, vista la mia esitazione ha ripetuto la frase ancora con più convinzione. "vuole sedersi?". Sono rimasto molto sorpreso, era la prima volta che mi succedeva, di solito sono io a lasciare il mio posto a chi vedo più anziano di me. Ho rifiutato perchè in effetti non sentivo il bisogno di sedermi, forse lei aveva preso il mio gironzolare come un segno di disagio causato dall'essere in piedi, fose si era resa conto di essere seduta proprio a fianco della persona che stava con me, mio padre, in pratica omaggiava la mia età superiore alla sua con una gentilezza antica ma ancora tanto gradevole quando ne vieni in contatto. Ho rifiutato, ma ho capito che in effetti il tempo non si ferma in nessun posto, non si sarebbe di certo fermato in quella sala d'attesa dell'ospedale, avrebbe continuato a scandire il suo ritmo senza mai sentire l'età, sempre senza un cedimento o un riprendere fiato. Infondo siamo noi che camminiamo il tempo, il tempo si ripresenta sempre e quindi è come se lui fosse fermo e noi ci muoviamo dentro di lui... e sono andato avanti stando fermo in quella sala, sono andato avanti aspettando un segno, un suono, un sogno che mi portasse ancora a camminare, sono andato avanti e l'ho fatto senza muovere un passo in attesa di abbandonarmi alla strada quando avrei potuto tornare a percorrerla. Perchè el teemp l'è cum'è un matt cunt i sö canzon d'amuur, l'è cumè un matt che'l canta... Ma una canzòn l'è sempru una canzòn e me la mea la so a memoria e anca me vòo avanti a cantala... e speri che el teemp el dorma e che n'intant se n'acorgia mea... Un racconto reale, in effetti a pensarci stento a crederci, ma è una cosa che mi è realmente successa, una sensazione che sicuramente è stata amplificata da un particolare stato d'animo del momento, ma di certo credo che prima o poi, in un occasione o in un altra, succederà a tutti di provare una simile sensazione. E' come buttare un sasso in uno stagno, da dove cade il sasso nascono le onde che si susseguono allargandosi fino sulla riva, tante, tanto più è grande il sasso e una dopo l'altra... e volano moscerini e insetti vari, nel loro muoversi sembrano una nuvola che si forma improvvisamente, volano che sembrano impazziti e la nuvola cambia improvvisamente tante direzioni, hanno bisogno di un loro tempo per ritrovare la serenità, tempo che a loro sembrerà lunghissimo se confrontato al loro tempo di vita, poi lo stagno torna alla sua normalità, tutti lo sanno, anche le onde e gli insetti sanno che qualcosa è cambiato. Qualcosa che ha passato la frontiera, una delle tante, alcune fatte di piccole cose come quando al mattino devi superare la frontiera delle calde coperte del letto per uscire e offrirti al freddo che incontrerai nella tua stanza, come quando decidi di chiudere la scatola dei biscotti della colazione per tracciare il limite del tuo tanti o pochi, come quando decidi di chiudere la porta dietro di te e ti offri alla giornata di lavoro anzichè andare dove invece vorresti andare tu...altre grandi, come quando ti accorgi che la coda del tempo non riesci più a prenderla e ti senti sempre uno che rincorre la sua giovinezza, oppure come quando passi la frontiera di una serenità acquisita a fatica per ritrovarti con un nuovo dolore che sembra un sasso che colpisce un cuore di vetro mandandolo in frantumi, oppure, più semplicemente, con una nuova preoccupazione. E' come scoprire un altro te stesso un pò più distante da quello che sei stato fino ad un attimo prima... e te se dumandet: Ma perché adess ghè la fruntiera fra te e me. Ma perché adess ghè un mür in mezz ai pè... ma rimane una speranza, come tutti i muri anche questo cadrà e ritroveremo quel che siamo, con il sacco che abbiamo in spalla un pò più pesante, ma con la serenità che da il ritrovarsi ancora una volta in compagnia di sè stessi.

1 commento:

  1. ciao Renato,
    una cosa analoga mi è successa qualche anno fa.
    Quando cominciavano a chiamarmi (anche i bambini) "signore". Devo dire che mi ha fatto uno strano effetto,anche se ho 43 anni, internamente me ne sento 20 - 25 . E immaginarmi "signore" proprio non ci riesco :-)

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